09 Feb UNA VIOLENZA INVISIBILE: LA VIOLENZA ECONOMICA
COSA È LA VIOLENZA ECONOMICA?
Si tratta molto spesso di una violenza celata, che non è visibile come quella fisica. La violenza economica purtroppo è molto più vicina a noi di quanto possiamo immaginare e anche molto più diffusa rispetto ai dati ufficiali. Si stima, infatti, che in Italia le donne che sono vittime della violenza economica siano solo il 2% e, se questo potrebbe da un lato farci tirare un sospiro di sollievo, dall’altro porta ad interrogarci su un’altra problematica reale e tangibile: la paura, la vergogna e la difficoltà per la donna di denunciare. Molto spesso, infatti, non si arriva a denunciare il maltrattante perché la prima domanda che una donna, che non ha una propria indipendenza economica, si pone è: come farò? Cosa sarà di me e dei miei figli? Ed ecco che per paura molte donne decidono di restare in silenzio, di non denunciare.
La violenza economica si delinea anche attraverso l’impossibilità della donna di poter disporre di denaro, di carta di credito o bancomat, nel non avere accesso alla conoscenza del reddito familiare, nel non poter gestire in alcuni casi, anche gli acquisti più semplici, utili al soddisfacimento dei bisogni primari. Si tratta di donne che sono totalmente dipendenti dal proprio partner.
Molto spesso succede che questa violenza porta in sé un altro tipo di violenza che è quella psicologica poiché si arriva ad un venir meno della dignità della persona, la quale è assoggettata a forme di controllo molto sottili, e ad un venir meno dell’autodeterminazione della donna, che appare in maniera più evidente quando la relazione sentimentale finisce. La donna, non avendo più questa capacità di autodeterminarsi, perché le è stata nel tempo sottratta, non avendo più la possibilità di essere l’unica responsabile delle proprie azioni e decisioni, chiaramente riscontrerà enormi difficoltà ad elaborare e ad affrontare la fine di quella malsana relazione, cadendo molto spesso in relazioni altrettanto nocive.
Inoltre, in Italia, molte donne sono costrette a lasciare il proprio lavoro perché devono accudire la famiglia. Si stima che il part time, in Italia, sia totalmente femminile, il 73% del part time è delle donne, e di questo, il 60,4% non è un part time volontario, ma si tratta di un part time dettato da una rinuncia perché diventa difficile conciliare maternità e lavoro.
NORME E PARI OPPORTUNITÀ
In Italia, manca una specifica norma dedicata alla violenza economica, essa trova infatti la sua collocazione, come tutela penale, nel reato di maltrattamenti in famiglia e si realizza tutte le volte che, vengono attuate condotte contro la dignità della vittima. A livello civile i provvedimenti presi consistono in provvedimenti cautelari.
Oggi le pari opportunità stanno cercando di tutelare queste donne, dando loro la possibilità di raggiungere la propria libertà individuale e di rompere con queste malsane dinamiche che costringono le donne a fare una scelta, a lasciare il lavoro, a rinunciare alla propria indipendenza economica. L’aiuto che si intende mettere in campo è quello di accompagnare, sostenere, orientare queste donne affinché non lascino il lavoro entro il primo anno di vita del bambino, ed è ancora quello di aiutarle a coinvolgere il proprio compagno in una gestione sana del carico di cura dei propri figli.
Nella mia esperienza professionale, spesso, mi è capitato di vedere come tante donne sono riuscite a porre fine ad una relazione altamente conflittuale nel momento in cui sapevano di poter disporre di un seppur minimo aiuto economico riconosciuto grazie ad eventuali contributi nazionali e/o comunali, e questo ha permesso, in alcuni casi, di aver avuto anche la possibilità di essere seguite e supportate da figure professionali che sono state fondamentali per elaborare meglio la separazione, per far sì che queste donne avessero consapevolezza dei i propri punti di forza e di debolezza, dei propri diritti e doveri, delle proprie risorse e per far sì che si ricostruisse insieme quell’autodeterminazione che sembrava perduta. Ma vediamo, al contempo, che oggi non è possibile garantire solo forme di assistenzialismo. Oggi è necessario, in primis, educare, promuovere l’indipendenza economica, combattere la sottoutilizzazione del capitale umano femminile, questo ha un enorme valore sociale perché permetterebbe fra l’altro un aumento del Pil, un aumento del benessere economico della collettività. Oggi più che mai c’è bisogno di investire nelle politiche familiari, bisogna promuovere e sostenere la genitorialità , gli aiuti alle famiglia, gli asili nido e tutte quelle forme e servizi che permettono una reale conciliazione tra maternità e lavoro, bisogna affiancare e supportare i CAV, le associazioni che tutelano a 360° il benessere femminile e i loro diritti a promuovere la giusta e necessaria occupazione femminile. Bisognerebbe investire su borse lavoro che possano dare la possibilità alle donne di inserirsi nel mondo del lavoro, e ancora su corsi di specializzazione che rilascino titoli spendibili nel mondo del lavoro.
Fortunatamente vi sono fondazioni come la Global Thinking Foundation che hanno come obiettivo l’alfabetizzazione finanziaria rivolta essenzialmente a soggetti indigenti e fasce deboli, tra cui donne. Difatti si è pensato di mettere su un progetto denominato Donne al Quadrato, ove donne aiutano altre donne ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si tratta infatti di volontarie che rivestono la professione di avvocato, consulente, imprenditrici, psicologhe che offrono le proprie competenze e conoscenze a beneficio di altre donne che stanno affrontando un momento di difficoltà legato alla crisi economica e/o familiare. La buona notizia inoltre è che è in arrivo il fondo di garanzia da tre milioni di euro, frutto dell’accordo con Abi, Federcasse, Caritas ed Ente Nazionale per il Microcredito, con l’obiettivo di dare alle donne vittime di violenza la possibilità di ripartire da sé stesse con nuove opportunità.
PANDEMIA E VIOLENZA ECONOMICA
Il periodo che stiamo vivendo ha portato inoltre ad un aumento dei casi di violenza, si stima infatti che durante il primo lockdown si siano triplicati gli omicidi nei confronti delle donne e ad una maggiore difficoltà a denunciare poiché si è in casa con il maltrattante, ed ecco che anche in questo caso le associazioni, i cav, gli operatori che si occupano di combattere la violenza della donna hanno cercato di trovare soluzioni utili a far sì che la donna potesse chiedere aiuto. In alcuni casi si è operato attraverso chiamate e videochiamate in quei rarissimi momenti in cui la donna non era in casa, per altri casi, più drammatici e complessi, si è pensato di aggiornare un app già esistente YouPol, che è un App di Polizia di Stato nata per contrastare bullismo e spaccio di droga tra giovani e che oggi dà anche la possibilità di segnalare episodi di violenza, sia da parte dell’interessato che da parte di testimoni diretti o indiretti, anche in forma anonima. L’applicazione permette di interagire con la Polizia di Stato inviando immagini o testo relativi ad episodi di violenza; essendo queste ultime geolocalizzate sarà possibile intervenire in tempi brevi.
Nonostante si stiano facendo passi da gigante per contrastare il fenomeno della violenza sulle donne, c’è bisogno ancora di unire le forze delle istituzioni, delle associazioni, dei professionisti tutti affinché si possa sensibilizzare su questa tematica, perché ad oggi, risulta ancora molto molto difficile per le donne chiedere aiuto.
Dott.ssa Sara Lagatta – Assistente Sociale
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